KENGAH, LA GABBIANA CHE PERSE LA VITA PER COLPA DEGLI UOMINI


La tragedia di Kengah, che emerge dalla favola “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò  a volare”, ci racconta di una delle innumerevoli vittime della disumanità dell'uomo.
Considerando il punto di vista dei gabbiani, planando insieme al loro stormo sopra i mari del Nord, Luis Sepulveda mette noi uomini di fronte ai nostri assassinii facili e spietati.
La causa di tanto orrore è “l'oro nero”: ciò che rappresenta oggi una delle migliori fonti di guadagno è considerata dalla natura “la peste nera” che non lascia scampo mentre diffonde una lenta morte tra gli abitanti del cielo e del mare.
Seguendo i gabbiani pilota, lo stormo di Kengah, la gabbiana dalle piume d'argento, aveva volato senza sosta per molte ore e adesso, sopra la foce del fiume Elba, era stato avvistato dal gabbiano di vedetta un banco di aringhe, ideale per la loro.
Diverse navi infrangevano il mare sotto di loro, dirigendosi pazientemente verso il mare aperto e sfoggiando diverse bandiere.
Era interessante osservare queste ultime poiché si poteva immaginare la destinazione o la provenienza delle imbarcazioni.
Tanti paesi diversi, tante culture diverse, infinita mescolanza di lingue differenti tra di loro. L'osservazione della gabbiana sta proprio in questo: tutte le specie di animali comunicano attraverso uno stesso linguaggio in tutto il mondo; per gli uomini non esiste una lingua universale e forse, questa è la prima causa dei conflitti che lacerano il mondo e la società.
“Come frecce” i più affamati si tuffarono in mare e rimasero soddisfatti del loro primo pasto d'aringhe.
Kengah si immerse diverse volte, ma, quando lo fece per la quarta volta, rimase sola, incomprensibilmente sola nella vastità del mare, incosciente del grido d'allarme che non le era arrivato alle orecchie.
Cercò immediatamente di spiccare il volo ma la mortifera onda nera la ricoprì completamente.
Rimase cieca. Solo dopo molti sforzi le sue pupille riuscirono a filtrare la luce.
Con incredibile fatica era arrivata, a nuoto, al limite della macchia di petrolio ma, quando poté vedere bene di nuovo, dopo essersi sciacquata la testa con la fresca acqua marina, si accorse disperatamente che il suo stormo era volato via, aveva seguito la legge: Ogni volta che qualcuno dei compagni di viaggio viene sorpreso dalla “maledizione dei mari” non può essere aiutato. L'intervento degli amici sarebbe rischioso e totalmente inutile, inoltre è proibito assistere alla morte dei più sfortunati.
Quella che attendeva Khenga poteva essere una morte per asfissia, poiché aveva i pori tappati dal petrolio, una morte veloce, quella di essere sbranata da un grosso pesce, o la fine più lenta e spaventosa, la morte per fame.
Quando si voltò notò che fortunatamente le ali non le si erano ancora appiccicate al corpo quindi, vincendo la loro pesantezza, dovuta al petrolio che le ricopriva, volò energicamente con straordinaria tenacia e finalmente guadagnò quota.
Quando sfinita cadde precipitosamente in uno dei balconi delle villette di San Michele, la osservava un gatto nero. Interrotto durante la sua siesta Zorba le diede subito aiuto:: impietosito dallo stato della gabbiana, le offrì il suo cibo e le leccò la testa sporca cercando di ripulirla.
Provò poi ad allontanarsi per chiedere aiuto ma sentì che la povera bestiolina la chiamava.
Kengah aveva deciso che con le sue ultime forze avrebbe deposto un uovo e che l'avrebbe potuto affidare al suo nuovo amico.
Chiese quindi a Zorba di farle tre promesse con cui si impegnava a prendersi cura del cucciolo che sarebbe nato fino al momento in cui avrebbe avuto bisogno di imparare a volare.
In quel momento Zorba pensò di essere generoso con un essere in fin di vita ma certo si rese conto della pazzia di quelle richieste rivolte ad un gatto, naturale nemico di uova e uccelli.
Tuttavia promise e si allontanò attraverso il tetto.
Dopo aver ringraziato il cielo e i suoi amati venti, Kegah esalò il suo ultimo respiro e morì accanto al suo ovetto bianco e azzurro.
E' evidente che questa non è una favola tradizionale, dove vi sono gli uomini dietro il comportamento degli animali.
La tragedia dell'inquinamento è affrontata partendo da chi ne soffre di più le conseguenze.
Sepulveda ci fa riflettere sull'unità degli animali: è possibile chiedere aiuto persino ad un gatto, predatore di uccelli! Questo è un chiaro paradosso di come, davanti a questo dramma gli animali stessi dimostrano una grande solidarietà tra di loro, maggiore di quella di cui è capace l'uomo sia con i suoi simili, che con gli animali, sia con gli uomini “diversi da lui”.
Riuscirà mai l'uomo a smettere di violentare egoisticamente la terra e i suoi preziosi abitanti?
Dalla favola di Sepulveda sorge ancora una speranza, rappresentata dagli ambientalisti che, con le loro barche “ornate dai colori dell'arcobaleno”, combattono ostinatamente i crimini verso la natura.
E' molto significativo infatti il momento in cui la gabbiana, appena riemersa dall'onda di petrolio si sente costretta a maledire gli umani, che non sono mai passati inosservati ai loro occhi e che hanno causato la sua morte.
La povera gabbiana si trattiene però dal maledirli tutti perchè è convinta, come l'autore stesso, del fatto che esistano anche uomini giusti e coscienti del dramma dell'inquinamento e che fanno ogni giorno del loro meglio per impedirlo o per limitarne gli effetti.
Per smettere quindi di uccidere, l'uomo deve mettersi nei panni degli altri, smettendo di concentrare egoisticamente ogni sua azione in direzione dei suoi personali guadagni.

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